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29 Marzo 2024 Elimina data

28 Aprile 2024 Elimina data

Non trovi lavoro? Ti sei chiesto perché e cosa mettere a fuoco quando si cerca lavoro?

Quali sono le difficoltà principali che incontra chi sta cercando lavoro?

Lo chiediamo a Claudia Di Buduo, esperta di servizi al lavoro e di formazione professionale.

Credo che le difficoltà più significative possano ritrovarsi nell’atteggiamento mentale, nelle credenze inconsapevoli e depotenzianti e infine, negli approcci culturali a un mondo del lavoro che non esiste più.

Molto spesso le persone che cercano lavoro vivono in “disordine”

Non hanno una routine guida, hanno scambi sociali molto diluiti, tendono a essere meno dinamiche, più pigre, a perdere ritmi regolari del sonno. Accorgimenti e consigli sul tema ormai si ritrovano in post, blog, riviste femminili, maschili, social, insomma sono cose che si sanno. Eppure, al di là dei comportamenti fattivi, si fatica a interiorizzare e gestire una riorganizzazione delle risorse interne. Ecco io credo che la ragione di questa prima grande fatica sia la pressochè inesistente educazione allo sviluppo di una intelligenza emotiva.

L’intelligenza emotiva e l’importanza di riconoscere le nostre emozioni

Non ci insegnano a scuola, o non sono troppo convincenti, che le emozioni sono sempre una informazione corretta, un segnale che dobbiamo imparare a captare perché il contenuto di quella informazione possa emergere. Che sulle emozioni non possiamo incidere, ma possiamo farlo sugli stati d’animo che si sedimentano dopo. Non siamo educati a stare fermi, con uno sguardo attento a ciò che succede al nostro interno, a chiederci il perché registriamo certe reazioni, a un dialogo interiore. Eppure qualcosa avviene dentro, delle risposte ce le procuriamo, interloquiamo con la nostra coscienza, solo che è più facile affidare il tutto a degli automatismi piuttosto che a un lavoro di indagine puntuale.

Riconoscere le emozioni, constatarle, far emergere le ragioni che danno origine a uno stato d’animo, è l’origine del cambiamento.

In quella presa di consapevolezza attribuiamo un valore di promozione di benessere o di malessere, prendiamo atto di uno stato che possiamo scegliere di coltivare, di ricercare, o viceversa, di rifuggire e quindi cambiare. Solo dopo una rielaborazione consapevole, ci prepariamo a farci carico di obiettivi concreti, intermedi, da cui non possiamo esimerci mentre gentilmente, con pazienza, coltiviamo il terreno di obiettivi personali che ci attivano senza sforzo perché si radicano nelle nostre passioni, sono coerenti con i nostri valori personali, realizzano il nostro sé profondo.

Il ruolo delle aspettative e delle credenze inconsce

La seconda grande fatica la attribuisco alle aspettative, alle credenze inconsce, ai condizionamenti socio-culturali che non possiamo evitare, a cui possiamo invece togliere potere, l’autorità di determinare le nostre scelte e muovere le nostre azioni.

Come? Come sopra, facendoli emergere in risposta a domande autentiche che rivolgiamo a noi stessi, senza giudizio, con umiltà e sincerità, per legittimare i nostri bisogni.

Perché faccio una tal cosa, mi va davvero di farla o la faccio per compiacere? Desisto da un comportamento perché ritengo sia preferibile non agire o perché verrei criticato? Perché compro questo oggetto? Perché seguo questo gruppo? Perché aggiungo un like? Cosa mi succede dentro mentre faccio scroll su facebook?

Le risposte che servono arrivano solo dopo che si siamo posti le giuste domande.

Non riusciamo davvero a cogliere la trasformazione economica del mercato del lavoro perché ci aspettiamo stabilità

La terza grande fatica sta nella pancia della seconda. Non riusciamo davvero a cogliere la trasformazione economica del mercato del lavoro perché ci aspettiamo stabilità, un percorso di crescita professionale coerente con il percorso di studi o con l’esperienza precedente, crediamo che cambiare significhi aumentare, possibilmente piano, un po’ alla volta. Incastriamo le nostre possibilità in un percorso immaginifico al rialzo (maggiore sicurezza, più soldi) e restiamo così convinti che quel percorso sia l’unico da perseguire che ci precludiamo le opportunità infinite che stanno nel nostro potenziale. Contemporaneamente tuttavia non ci prendiamo abbastanza cura del nostro benessere, spesso non ci attribuiamo il giusto valore, e più di ogni altra cosa, sbagliamo a valutare il tempo in cui avvengono le cose, il tempo che è necessario.

Cosa vuol dire sbagliare a valutare il Fattore Tempo?

Intendo che senza rendercene conto abbiamo disimparato ad aspettare.

La costruzione del Duomo di Milano si considerò ultimata dopo 500 anni di lavoro; pensate in quanto tempo si raggiungeva l’America prima di volare, in quanto tempo si trasformavano quintali di pomodori in salsa per l’inverno.

Oggi siamo abituati all’immediatezza, al riscontro di una risposta che ci danno le applicazioni mobile, a testi brevi e concisi che veicolano informazioni. Pensate allo sforzo di chi produce prodotti da cucinare in sempre meno tempo, pensate agli approfondimenti on line che pubblicano i minuti stimati per la lettura, alla funzionalità “salva per dopo” (ora non hai tempo!); pensate a quanto poco tempo ci occorre per recuperare dati relativi a una persona – mi fa sempre sorridere l’immagine di papà che corteggiava la mamma ma doveva aspettare di rincontrarla in piazza e neanche esisteva il telefono.

Allora, nel tempo che serviva a fare le cose, si rifletteva di più e questo aiutava ad agire. Oggi, nel tempo iniquamente percepito, reagiamo senza pensare, senza scegliere come riposizionarci di fronte agli eventi su cui non possiamo incidere.

Viviamo in un passato e in un futuro nascosto alla nostra coscienza, mentre è il presente l’unico spazio che dovremmo abitare.

Inconsapevoli di false aspettative e di convinzioni ancestrali perdiamo contatto con la nostra intuizione e la nostra creatività, ci diamo degli obiettivi e delle motivazioni non lucide, persino fuorvianti, viviamo in un passato e in un futuro nascosto alla nostra coscienza, mentre è il presente l’unico spazio che dovremmo abitare.

Tendiamo a non considerare che potremmo imparare oggi una cosa e lasciarla lì finchè non succede qualcos’altro con cui la mettiamo in relazione e per cui la usiamo. “Impara l’arte e mettila da parte”, recitava il nonno.

Tendiamo inoltre a credere che ciò che pensiamo abbia un fondamento oggettivo e non semplicemente possibile, che ciò che non viene percepito dai nostri sensi non esista. Un esempio facile: sono molto poco in contatto con una persona, deduco che non mi pensa, che non gli interessa di me, a distanza di tempo mi scrive e mi dice che mi ha pensato spessissimo; ho mandato un cv e nessuno si è fatto vivo, invece dopo qualche mese vengo invitato a un colloquio. La verità è che non posso sapere ciò che si muove nella mente degli altri, eppure ci costruisco dei film.

E poi pacifichiamoci: più è alto l’obiettivo maggiore è il tempo che occorre.

Di fatto il tempo è una convenzione dell’uomo e secondo me dà sollievo allenarsi ad aspettare il tempo in cui avvengono le cose, imparando piuttosto a coltivare l’attesa.

Tu che sei un’esperta di politiche del lavoro, sei formatrice e hai una bella esperienza nei percorsi di orientamento al lavoro cosa consiglieresti a chi sta cercando lavoro oggi? Da dove partire?

Si parte sempre dal prendere contatto con se stessi e facendo una ricognizione delle risorse interne. Strumento chiave è il linguaggio nel dialogo con noi stessi prima, con gli altri poi: fare ordine per essere più chiari, più assertivi. La scelta delle parole arriva da un lavoro di ricerca interiore che prima accennavo. Sconsiglio vivamente di saltare questo passaggio, è propedeutico.

Guardarsi dentro e chiedersi il perché?

Dopo aver imparato a guardarci dentro infatti, impariamo a guardare ciò che succede fuori, a chiederci il perché, a riconoscere dinamiche e quindi bisogni, utilità e valore. Quindi ci concentriamo su ciò che ci interessa maggiormente, su ciò che è più attrattivo per noi e ci lasciamo appassionare: com’è fatto quel prodotto, con che materiale, perché quel materiale; come funziona il servizio, cosa mi piace, cosa non va, come si potrebbe migliorare, esisteva già, prima o in altri paesi; quali discussioni convergono su questo tema. Con la stessa cura con cui andremmo a comprare una bicicletta se fossimo amanti del ciclismo, con lo stesso spirito critico con cui sceglieremmo una struttura per fare le vacanze.

Osserviamo il mondo con una coscienza espansa e ragioniamo fuori da una logica di compartimenti stagni, non per materie, categorie, classificazioni.

Accettiamo che ogni cosa è correlata e che noi stessi siamo parte di un sistema in cui il nostro atteggiamento e comportamento impattano su tutto ciò con cui entriamo in relazione. Quando non riusciamo a darci delle spiegazioni, allarghiamo la prospettiva. E’ l’osservatore che crea il sistema che si osserva: facilmente siamo noi a ignorare degli elementi di valutazione e per questo non riusciamo a spiegarci delle logiche. Sappiamo di non sapere e perciò non smettiamo di cercare risposte.

Costruire una nostra identità coerente e accattivante e costruire un nostro network on-line e offline

Progressivamente costruiamo opinioni e prendiamo il coraggio di inserirci nei dibattiti: internet è un giacimento infinito di spunti, di riflessioni ed è la piazza dove noi dobbiamo costruire una nostra identità coerente e accattivante. Ci informiamo attraverso articoli scelti tra fonti attendibili, cerchiamo i personaggi citati e gli autori, li contattiamo e seguiamo sui social, ci iscriviamo a newsletters, capiamo dove lavorano queste persone, cosa hanno già scritto e cosa si dice sul loro conto. Costruiamo un nostro network on line, ma anche off line. Consideriamo di entrare a far parte di una associazione, di un gruppo facebook, di cominciare a bazzicare un blog; facilmente saremo parte di in una comunità virtuale, magari persino di pratica. Possiamo persino organizzarci una rassegna stampa personalizzata, esistono molti tools per organizzare le fonti di informazione. E sono gratuiti, come molti altri contenuti arricchenti offerti da professionisti di successo. E’ abbastanza?

Ricapitoliamo

  • Il linguaggio nel dialogo con noi stessi
  • Dopo aver imparato a guardarci dentro, impariamo a guardare ciò che succede fuori, a chiederci il perché
  • Costruire il network
  • Perdersi su internet
  • Iscriversi a una associazione, entrare a far parte di una comunità di pratica
  • Organizzarsi una rassegna stampa personale

Quali sono le competenze trasversali più richieste, le cosiddette “soft skills”, quelle che le aziende ricercano maggiormente nei candidati? Perché sono così importanti secondo te?

La prima, la più importante, la mia preferita: imparare ad imparare. Innanzitutto dalla esperienza. Nella parola esperienza c’è tutto: sono ricompresi tutti i contesti (formali, informali, non formali); tutte le dimensioni (relazionali, emozionali, pratiche). Le esperienze sono importanti perché non potrò fare quel lavoro propedeutico di lettura interiore con una mentalizzazione, chiedendomi astrattamente per cosa sono più portato o cosa mi è più affine. E’ al confine di contatto con altre persone, in un contesto non familiare, davanti a un compito inedito che si attivano dei segnali, non grazie agli automatismi di una routine. Se approcciamo al nuovo con atteggiamento umile, come degli esploratori, se ci accorgiamo che abbiamo tanto da imparare e se questo non lo vediamo come un problema, anche la vita analogica, e non solo la piazza virtuale di internet, diventa affascinante e piena di significato.

Esiste poi tutto un pacchetto di competenze soft legato alla imprenditorialità che ritengo siano oggi più che mai imprescindibili, tra cui stanno quelle di cui parlavo sopra: autoconsapevolezza, autoefficacia, motivazione, perseveranza, imparare dall’esperienza.

In generale ritengo che ogni professionalità, pur se incardinata in una logica di subordinazione, dovrebbe arricchirsi di una attitudine imprenditoriale. Mi riferisco a quelle sottocategorie delle classificazioni europee che parlano di creatività, vision, lavorare con gli altri, mobilizzare gli altri, pensiero etico e sostenibile, riconoscere le opportunità, prendere le iniziative, mobilizzare le risorse, pianificazione e gestione, idee di valore, fronteggiare incertezza, ambiguità e rischio.

Se il lavoro del futuro non esiste e va creato, più che cercato

E questo è tanto più vero se il lavoro del futuro non esiste e va creato, più che cercato. Se sai fare una cosa non farla gratis, dicono in Europa.

In un mondo iper competitivo, che cambia in fretta, dobbiamo scrollarci di dosso le paure e porci di fronte a un potenziale datore di lavoro come una risorsa utile perché risolve una preoccupazione, che può rivelarsi strategica, che impatta positivamente nel contesto di riferimento. Per fare questo sono persuasa servano una stretta di mano, guardarsi negli occhi, parlare, arrivare al colloquio quindi.

Come differenziarsi per emergere e trovare lavoro prima degli altri candidati?  Ci racconti anche qualche storia curiosa?

Innanzitutto bisogna procacciarsi l’occasione di un colloquio, quindi mettere in atto una strategia impeccabile di ricerca attiva su un obiettivo quanto più definito possibile. Dobbiamo schiarirci le idee, organizzare il tempo per non cadere nella depressione e preservare il buon umore, studiare l’azienda per cui ci candidiamo, adattare le candidature e arricchirle di contenuti coerenti, prepararci delle domande, esercitarci nello storytelling del nostro percorso (se ci annoiamo noi facilmente si annoierà anche il nostro interlocutore), assicurarci di essere abbastanza rilassati durante il colloquio da riuscire a sorridere, e possibilmente a far sorridere, disintegrare le nostre aspettative e infine allenarci a perseverare. Fare colloqui di lavoro, ma anche “caffè di lavoro”, è un primo obiettivo intermedio, si impara moltissimo di noi stessi ed è quello il momento in cui possiamo essere maggiormente efficaci.

Negli ultimi anni ho interiorizzato la logica europea della progettazione per competenze: mi entusiasma il concetto per cui non è possibile registrare una chiave di valutazione della competenza in uscita come “non raggiunta”. La competenza professionale è il fare di un agire complesso che presidia un compito, posso discutere sul come, ragiono in termini di livelli di autonomia e responsabilità, ma non posso dire “non è stato fatto”. Credo che questo incoraggi. Credo che questo orientamento sposti di molto anche il focus di un intervento di formazione. Ecco allora potrei proporre un seminario sul cv per competenze, sarebbe cmq una leva fortissima verso l’autoconsapevolezza e un modo originale di presentarsi.

Lavoro al centro impiego di diversi anni ma non mi sono mai occupata di incontro domanda offerta. Il mio intervento in front-office è soprattutto quello di una prima accoglienza informativa e di un orientamento di base ma il rapporto numerico utenti-operatore non consente di spingersi molto oltre. Allo sportello sono spregiudicata nell’elargire fiducia e coraggio nel promuoversi e comunicare di essere alla ricerca di lavoro. A volte arrivo a suggerire azioni improbabili come spedire il cv al giusto referente nel cartone di una pizza o nella confezione di una bomboniera.

Da ragazza ricordo stavo andando in drammatico ritardo a un colloquio di gruppo, del genere riservato a neo diplomati per grandi scremature ed ero disperata. Per la prima volta in vita mia chiesi un passaggio a un signore a bordo di uno scooter 150 e mi fece salire. Gli dissi del colloquio, lui stava cercando una segretaria commerciale e mi propose di provare. Il colloquio di gruppo era ormai perso ma di lì pochi giorni cominciai un nuovo lavoro.

Cos’è l’apprendimento esperienziale e quanto è importante oggi per il percorso professionale che si desidera intraprendere?

L’apprendimento esperienziale è un approccio che sfrutta le leve emozionali per tracciare delle memorie di significati nei circuiti neuronali. L’apprendimento senza emozione, freddo, di una lettura in solitaria, di una lezione frontale in cui parla solo l’insegnante è di gran lunga meno efficace.

Le neuroscienze forniscono oggi degli elementi preziosissimi su cui incardinare ragionamenti e azioni di intervento.

L’apprendimento esperienziale si lega con il percorso professionale in ragione di quanto detto sulla progettazione per competenze; questa a sua volta diventa la chiave per contrastare l’analfabetismo funzionale spesso aleggiante nelle aule scolastiche. Non penso che non serva più insegnare italiano e storia ai ragazzi, perché gli esercizi di sviluppare un tema, argomentare opinioni, comprendere un testo lungo e complesso, rileggere gli avvenimenti del passato sono utili ad allenare il pensiero critico, il pensiero laterale, la nostra capacità di leggere il nostro tempo e la sua profondità. Ma vanno indirizzati a uno scopo pratico, ricondotti a una utilità che possa essere compresa e percepita da chi fa esperienza di educazione e formazione, secondo il canone per cui chi è in aula è responsabile del proprio apprendimento e sceglie cosa imparare per se stesso, almeno tanto quanto è libero di stabilire cosa rientri nel personale concetto di benessere.

Quanto secondo te è importante e perchè sarebbe ottimale affidarsi a delle persone esperte per cercare lavoro?

I servizi specialistici al lavoro sono utili nella misura in cui si prestano a offrire la possibilità di tararsi, di sbagliare, di individuare una soglia di trasformazione. Le dinamiche del mercato cambiano e necessariamente anche le strategie e gli strumenti più efficaci. Per esempio per molti il classico cv è uno strumento superato, dovremmo occuparci di personal branding come dicevo, o per lo meno attrezzarci per un video cv. La verità però è che i servizi al lavoro richiedono una governance più armoniosa tra Stato e Regioni, investimenti strategici e una visione per il futuro della Rete degli operatori accreditati. C’è molto da fare e da riordinare anche per noi che eroghiamo i sevizi. Senz’altro dobbiamo prepararci a fare del nostro meglio per supportare con sensibilità e cura chi vivrà l’attuale trasformazione economica a partire da una trasformazione a livello personale post Covid.

Claudia Di Buduo

Claudia Di Buduo

Da dieci anni mi occupo di servizi al lavoro, da due primavere di formazione professionale. Incontriamoci su Linkedin!

 

Intervista a cura di Tiziana Muoio, cofondatrice di www.lavoroeformazione.it

Appassionata della vita e dei viaggi, con la sua laurea in lingue e tantissimi corsi e master, è  imprenditrice da 20 anni e da 13 gestisce, con successo, il portale www.lavoroeformazione.it, di cui è cofondatrice e sul quale mette concretamente in pratica tutte le conoscenze nate da tanti anni di studio nel settore della vendita, della comunicazione, del marketing. gestione dei clienti, web marketing, content marketing, mondo del lavoro, dell’imprenditoria e della formazione.

Partecipando a centinaia di career day e incontrando migliaia di persone che cercano lavoro ha acquisito una grande esperienza su come si cerca lavoro on-line, su come si sceglie un corso e un master per trovare lavoro e fare carriera, e in particolare ha approfondito le tematiche dei lavori del futuro, delle professioni più ricercate e delle professioni “introvabili”.